mercoledì 9 ottobre 2013

L'incontro di Luca con Margherita, il viados brasiliano

OGGI POSTO UN PEZZO DI 'NOTTESENZAFINE' DOVE LUCA IL PROTAGONISTA INCONTRA MARGHERITA, IL VIADOS BRASILIANO CHE GLI FA UNA RICHIESTA INQUIETANTE...

(...)

Luca non reagì. Appoggiò sul sedile davanti il bicchierino di carta e fece un lieve sospiro per tagliare quell’aria di tensione.
Margherita iniziò a piangere forte singhiozzando ripetutamente.
Luca ignorava il da farsi. Avrebbe voluto consolarla, ma non sapeva come fare, d’altronde la conosceva da un centinaio di respiri e per di più disconosceva il suo sesso: era uomo o donna? I peli sulle gambe le crescevano o no? Il seno era così sodo perché era siliconato?
Voleva porgerle tutte queste stupide domande che la gente si fa quando vede un travestito, ma non era il caso di fare chiarezza in questo momento: lo aveva aiutato, gli aveva messo indosso il pelliccione, offerto il caffè e inoltre era dolcissima nei suoi atteggiamenti, non sembrava nemmeno una prostituta o un ‘prostituto’...
Pose una mano sulla coscia di Luca e la strinse forte, il ragazzo si spaventò.
Non vorrà mica provarci con me ora!?!? rimuginò tra sè.
Nonostante fosse stato educato in maniera molto liberale c’era sempre un velo di inibizione che lo pervadeva, una paura verso qualcuno diverso da lui e per di più a due centimetri dalla sua spalla.
Dopo alcuni attimi ‘lei’ proferì parola: “Sou sieropositiva.”
Il sangue gli si raggelò nelle vene. “Ne sei sicura?” ribattè Luca con voce titubante.
“Sì, ho fato li esami…”
“Oh cazzo!”
Margherita rilasciò la presa sulla coscia di Luca per coprire il volto solcato dalle lacrime.
“Magari l’esito dell’esame era sbagliato...”
“No, l’ho fato due volte... ho tentato de suiscidarme tre volte pero sou stada fermada in tempo da ‘minhas irmas’.”
Avrebbe voluto chiederle la ragione del suo gesto, ma sarebbe stata una domanda sciocca e scontata. Avrebbe voluto sottolinearle il fatto che era ingiusto seguitare ad avere rapporti non protetti essendo sieropositiva, ma come avrebbe reagito?
“O forse sou tropo fifona para fazerlo io diretamenci.”
Luca non aveva le armi per combattere le parole forti di Margherita.
“Falo tu, te prego...”
“Fare che, scusa?”
“Soto il sedile tegno una pistola carica, uno sparo in testa e via... no sentirò nada, te prego...”
“Io...”
“Me sembri la persona justa para matarme, sensible, jentile, sei il primeru ser umano che cognosco achì en Milan.”
“Qui non si tratta di essere la persona adatta o no, Margherita.”
“Falo per me, tu tieni un futuri davanci, io tegno solo l’infierno... presente e futuro. Para la jente como noi non c’è pace nemeno dopo la morte... Dios no lo conscede.”
Il ragazzo aveva un nodo alla gola che non riusciva a liberare, tuttavia non lo avrebbe sciolto con un movimento secco sul grilletto di quella pistola.
“Io non voglio uccidere nessuno e non lo farò mai... Uno, perché ho troppa paura; due, perché non voglio troncare una vita umana; tre, e non ultimo, avrei dei guai seri con la polizia e la giustizia... Ti prego, capiscimi tu.”
Credeva fosse stato uno scherzo di Margherita, una convinzione poco seria, ma ben presto il suo tono si fece più tragico.
“IO-NO-VOLIO-PIU’-VIVIRE! No so si lo hai capito o no... NO-VOLIO-PIU’-VIVIRE!”
Parole come pietre, pesanti, scolpite nel suo cervello.
Qualche respiro di pausa e si inginocchiò davanti a lui nel poco spazio che si apriva tra il sedile davanti e quello dietro e con le mani giunte pregò di nuovo Luca di ucciderlo in cambio della sua pelliccia bianca.

“Ti rendi conto di cosa mi hai chiesto? Chi se ne frega del tuo pelliccione... è più importante la tua vita o quella di un animale morto sulle mie spalle?”

martedì 10 settembre 2013

ALLA FESTA DI JACOPO!!!

OGGI POSTO UN PEZZO DI 'NOTTESENZAFINE' DOVE LUCA, IL PROTAGONISTA SI VEDE COSTRETTO A PARTECIPARE A UNA TRAGICA FESTA...

(...)
Non sapeva bene perché stava citofonando in quel momento a casa di Jacopo, forse solo per medicare la ferita, per trovare uno strappo per andare a casa... sicuramente non per devastarsi” all’ALL NIGHT LONG PARTY.
Aveva solo voglia di tornare a casa.
Provò al numero 8. Era una villetta a due piani da cui usciva un rumore infernale e le cui stanze erano tutte illuminate a giorno.
Era casa de Romeis, senza alcun dubbio!
Si avvicinò ai citofoni... Tutti e due i piani erano occupati dal cognome della famiglia di Jacopo. Doveva essere una casa da ricconi! Ecco perché il lunedì mattina durante l’intervallo iniziava il mercatino dell’usato nei servizi del secondo piano. Avrebbe partecipato anche lui agli scambi, quel lunedì, che diamine!
Citofonò con aria titubante.
“Chi è?”
“Sono Luca... Luca di 5°C, sei tu, Jacopo?”
Si sentiva un rumore incredibile di sottofondo. Gente che strillava, musica  altissima.
“Chiii?” urlò la voce.
“Luca... Sono Luca Bellini, quello della 5° C...”
“Ah, Luca... che sorpresa! Ti apro subito. Perché sei arrivato a quest’ora?”
“Eh, volevo fare un’improvvisata...”
Non appena aprì la porta di casa uscì un’ondata di fumo pesante. Una figura poco definita gli si presentò davanti...
“Allora sei venuto, eh?”
“Ciao Jacopo.”
“Ciao Luca” e gli strinse la mano bendata.
“Ahhh!”
“Cos’hai?”
“Niente, mi sono tagliato con dei vetri. Hai qualcosa per disinfettarmi?”
“Sì, sì, vieni di qua che ti porti in bagno”
Scostò la porta del bagno e fece uscire una coppietta sdenudata.
HAI CAPITO LA FESTA DI JACOPO! SI DANNO DA FARE QUI...
Quei due insultarono pesantemente Jacopo il quale non ci fece molto caso.
“Ecco qui l’alcool, queste sono le garze. Quando hai finito raggiungimi al piano di sopra, va bene?”
Si medicò meticolosamente la ferita e la bendò rigidamente. Stava meglio ora, si sentiva più sicuro tra quelle mura. Si rinfrescò il viso, si adagiò sul water e appoggiò la testa al muro addormentandosi all’istante.
“Luca! Oh! Luca!!!”
“Che succede?”
“Ti senti bene?” lo svegliò Jacopo.
“Sì, sì” borbottò Luca aprendo gli occhi.
“Vieni che ti faccio divertire io...”
Lo prese sottobraccio e lo condusse al piano superiore dove Luca focalizzò tutta la situazione: gente in cucina che preparava la spaghettata delle quattro, gente in salotto che fumava canne, gente che si scaccolava chiacchierando, gente che limonava in camera sua e infine gente che faceva l’amore (a giudicare dai lamenti) in camera dei ‘suoi’.
Due coppie giocavano a Risiko per terra in corridoio e due ‘sfigati’ per ultimo si mangiavano pane e Nutella davanti alla TV.
“Hai visto che macello di gente?”
“Vedo, vedo...”

Avrebbe voluto mandarlo a quel paese, ma non poteva.
Gli presentò alla bene e meglio circa  una ventina di persone di cui Luca riconobbe qualche compagno di classe di Jacopo e Fabrizio, il barista dell’istituto.
“Vieni che ci sconvolgiamo ora!”
“Guarda, io dovrei and...”
“Vieni, vieni, ho una sorpresa per te...” e con passo svelto devastò tutti i carri armati distesi sul piano del Risiko facendosi accompagnare dalle bestemmie delle due coppie che stavano giocando appassionatamente.
“Vedo che ci siamo capiti” si rivolse ai due ‘sfigati’ davanti alla TV i quali avevano tirati fuori una bottiglia a lui poco nota.
Era una tequila: Cuervo Especial... Una mazzata!
“Preparate i bicchierini e riempiteliiiiii” ordinò Jacopo.
Luca non aveva mai bevuto in vita sua, neanche a Capodanno. Aveva sempre brindato con acqua minerale, neanche con la coca cola, era fin troppo ‘alcolica’ per i suoi gusti. Figurarsi la tequila!
“Veramente sono astemio.”
“Che cavolo dici!?!? Un tipo come te...”
I tre si misero a ridere.
Avrebbe sopportato a denti stretti il commento di Jacopo, ma degli altri due che nemmeno conosceva... Cosa cazzo volevano?
Sorrise falsamente. Poi ripensò al domino di inibizioni che tutte in una volta stavano cadendo. Pose di nuovo lo sguardo sui tre che aspettavano col bicchierino in mano... non poteva deluderli.
Prese il suo bicchierino, fece una smorfia di approvazione ai tre festaioli e buttò giù in un sorso solo.
“Olè” grido uno dei due sfigati.
“Altro giro” festeggiò il compare.
“Ma sì, va!” aggiunse Jacopo.
Luca sentì un fuoco salire dalla stomaco e arrivare fino alla laringe. Che schifo era quella roba? Era come bere sabbia... Come poteva piacere un alcolico simile?
Chiuse gli occhi e scosse elettricamente la testa.
“Allora, ce lo facciamo un altro bicchierino?” chiesero i tre con aria indagatrice.
“E facciamocelo...” ribattè Luca.
Alla fine i bicchierini diventarono quattro. Mentre i tre mattacchioni continuavano a sparare idiozie che non stavano ne in cielo ne in terra, Luca si allontanò senza che essi se ne accorgessero e si diresse in salotto. Non capiva niente. Sovreccitato dai fumi dell’alcool avrebbe  baciato persino la più brutta della festa pur di riuscire a portarsi una ragazza nella stanza di Jacopo.
Era una sensazione mai provata in vita sua. Se avesse continuato a stare seduto sul divano con quei tre avrebbe vomitato di sicuro.
 Il corridoio stava iniziando a girargli intorno a ritmo vertiginoso e non sapeva come fermarlo. Domandò a uno sconosciuto al suo fianco  se il terremoto appena avvenuto era o no superiore al quarto grado della scala Mercalli... Ottenne solo un “Hai bevuto troppo amico!”...

venerdì 19 luglio 2013

Nottesenzafine: il tuo short book per le vacanze!!!!

NOTTESENZAFINE!!!!

                                                         
 

IL VOSTRO SHORT-BOOK SCACCIACRISI...
IDEALE PER CHI VA IN VACANZA AL MARE, MONTAGNA, LAGO O CITTA' D'ARTE...
PER CHI FA INVECE UN VERO VIAGGIO DA INTENDITORI..
PER CHI PUO' DEDICARSI SOLO UN WEEKEND...
PER CHI  STA CASA AL FRESCO SOTTO L'ARIA CONDIZIONATA E UNA FETTA D'ANGURIA...
PER CHI INVECE CUOCE SUL DIVANO DAVANTI AD UN VENTILATORE CHE NON RINFRESCA MAI E SI ANNOIA DAVANTI ALLA TV ALL'ENNESIMO FILM DI TOTO'...

Mi trovi in tutte le librerie e su internet!!!!!!! Non lasciarmi a casaaaaaa!!!

giovedì 4 luglio 2013

Vediamo se chi ha vissuto gli anni '80 se lo ricorda...

Sei lati, ogni lato 9 quadratini colorati, e tutti i lati che si possono muovere sia in orizzontale che in verticale..vi sembra di ricordare, vero? 43.252.003.274.489.856.000 (si, proprio 43 miliardi di miliardi..) di possibili combinazioni, e una sola che portava al risultato agognato, tutte e 6 le facce del colore giusto, nello stesso momento!
E'lui! e' il cubo di Rubik!




Uscito dalla mente malefica di un matematico ungherese, il cubo di Rubik é stato per noi ragazzi degli anni '80 quello che i Pokemon sono per i ragazzini di oggi, una mania, una febbre da cui non si poteva guarire. In tutti i formati e le dimensioni, ci giocavamo a tutte le ore, a scuola e fuori scuola, anche e soprattutto durante le lezioni..e mentre per molti l'unica soluzione possibile era quella di staccare i quadratini colorati e attaccarli dove serviva, ai campionati mondiali c'era chi lo completava in meno di 30 secondi (grr...grr..!!).

martedì 21 maggio 2013

LA FUGA DI LUCA


LA FUGA DI LUCA

Scusate tutto questo ritardo nell'aggiornare il blog, ma come molti di voi sanno ho avuto non pochi problemi col mio lavoro e per questo sono stato un po'latitante...ma comunque...rieccomi qua...oggi voglio postare una dei passi più 'senza fiato' del libro....la fuga del protagonista suoi tetti di Milano inseguito da alcuni balordi che lo vogliono pestare a sangue...
 
 
 

(…)

Si voltò per la prima volta e vide i tre più vicini che mai. Uno scatto un po’ più potente e lo avrebbero raggiunto senza problemi. All’improvviso vide a qualche passo un metallaro che stava uscendo dal portone del suo palazzo. Si infilò dentro di nascosto senza che lo sconosciuto fiatasse minimamente e salì le scale senza pensarci su due volte continuando però a sentire da sotto le voci dei suoi inseguitori e il rumore del portone chiudersi dietro loro.

Le gambe oramai non gli tenevano più, il fiato cominciava a dargli un senso di nausea insopportabile, l’addome dava forti contrazioni e l’eco delle grida che emettevano quei due non gli davano nessuna speranza... secondo, terzo, quarto piano. Il cuore era oramai arrivato in gola, pulsava come se dovesse esplodere da un momento all’altro.

Il resto dei piani li divorò come un incubo divora i sogni.

Finalmente arrivò ad una porticina che dava sul tetto, cercò di aprirla maneggiando con forza la maniglia... niente!

Guardò verso il basso ed i due ‘nemici’ erano al piano di sotto.

1... 2... 3... prese una breve rincorsa e sfondò quella porticina di legno verde; un attimo di smarrimento e poi intravide una scala appoggiata al parapetto del tetto, la montò, scese dall’altra parte dove c’era il tetto dell’edificio adiacente, sradicò la scala del muretto e la gettò di sotto.

Poco dopo sentì una voce... ”Dov’è, dov’è!... Non avrà saltato di là!”

Non lo avrebbero raggiunto senza la scala. Ciò non gli dava comunque una certa tranquillità.

Trovò una porta aperta che illuminava il tetto e che dava sulla tromba delle scale.

Ma perché scendere per le scale di quell’edificio con il rischio di incontrare davanti al portoni quei tre stronzi di nuovo?

La paura fa 90, come si suol dire, no?

Avrebbe sfidato un suo atavico timore - le vertigini -  pur di riuscire a farla franca e lasciarsi alle spalle quell’inatteso pericolo.

Chiuse gli occhi, fece l’ennesimo respiro e saltò a cavallo di un muro.

Avrebbe passeggiato sui tetti delle case che mancavano per finire il corso Como, sarebbe sceso per l’ultimo palazzo e poi sarebbe uscito dal portone con la speranza di non essere notato.
Fu la camminata più lunga e pericolosa della sua vita.

Proseguì con il corpo ‘incollato’ al tetto in posizione obliqua, cercando di mantenere il baricentro del suo peso in direzione delle tegole. Ogni passetto di lato era una scommessa con se stesso e con il suo equilibrio, un movimento sbagliato, una semplice leggerezza e sarebbe scivolato giù con poche speranze di aggrapparsi a qualcosa.

Raggiunse così l’ultimo tetto, quello con le tegole più umide e fredde. Aveva veramente paura adesso, l’umido delle tegole avrebbe potuto giocargli qualche brutto scherzo.

Le gocce di sudore freddo scorrevano sul suo collo fino a farsi sentire sulla schiena e centellinavano i secondi che scorrevano interminabili sotto quel cielo buio dicembrino.

Un ultimo sforzo e avrebbe potuto scorgere quell’ipotetica porta che lo avrebbe condotto al piano terreno del palazzo in questione.

Eccola lì, spuntava dalla cima del tetto con tutta la sua discrezione.

La sua mano afferrò finalmente l’ultima tegola, lasciò scivolare le gambe, appoggiò il ginocchio sull’orlo di cemento e scese sulla terrazza dell’edificio. La porticina era a qualche metro. Che liberazione!

Si appoggiò alla porticina cercando di asciugarsi il sudore sul collo e sulla schiena, diede un’occhiata prolungata intorno ed in seguito alzò gli occhi in cerca di una serenità che aveva aspettato da troppo tempo.

Il cielo di Milano era più buio del solito, una striscia indefinita di colore grigio che si perdeva con la linea dell’orizzonte e opprimeva col suo peso i tetti delle case di quel quartiere.

Qualche istante di rilassamento ed il freddo iniziò a penetrargli dentro il piumino ormai ridotto ad un sudiciume di giaccone.

La porta era chiusa maledettamente bene, nemmeno qualche forte spallata la avrebbe mossa di un millimetro.

Alzò il naso e notò una piccola finestrella. Un calcio secco e diretto nel centro del cristallo ed il finestrino si ruppe di botto lasciando qualche scheggia sul suo piumino ed altre conficcate nella cornice. Avrebbe rischiato tagli ed escoriazioni, ma passare la notte al gelo aspettando che qualcuno si fosse svegliato all’alba per aprirgli quella porta  sarebbe stata la sua condanna a morte.

Appoggiò il piumino alla cornice coprendo le punte e fece scivolare il suo corpo lentamente fino a cadere per terra dall’altro lato.

Riprese il piumino e cercò dentro le sue tasche un fazzoletto o qualcosa del genere: si era ferito a una mano. Il taglio non era profondissimo, ma gli procurò un dolore rapido e aspro che squarciò il silenzio di quell’antro.

Trovò in un taschino un pacchetto di fazzoletti di carta che macchiò tutti in una manciata di respiri. Il sangue continuava a fuoriuscire, ma per il momento doveva solo scendere quelle scale e uscire dal portone una volta per tutte.

Aspettò che la luce della portineria si spegnesse per fare l’ultima rampa e incollare la sua faccia ai vetri del portone.

Tutto pareva tranquillo. Avrebbe aperto la  porta e sarebbe scappato per quella stessa via che non riconosceva e che era ancora troppo vicina per dargli quella sicurezza necessaria per svignarsela.

Si tolse il piumino, lo appallottolò frettolosamente e lo nascose dietro il sottoscala. Prese qualche straccio che stava giusto lì, li arrotolò sulla mano sofferente e fece un nodo stretto.

Scrutò ancora un poco la situazione fuori dai vetri; aprì la porta e uscì dalla portineria.

Si indirizzò con passo svelto verso la fine del viale. Dopo una ventina di respiri si voltò per verificare che tutto fosse tranquillo. Calma apparente...

Sarebbe arrivato fino alla fine del viale ed in seguito si sarebbe messo a correre all’impazzata per allontanarsi il più velocemente possibile da quella zona.

Giunse al semaforo così tanto anelato e poi via...

Iniziò a correre verso il cimitero Monumentale, inghiottì strade, marciapiedi, palazzi nel giro di seicento respiri. Svoltò l’angolo... via Procaccini. Era abbastanza lontano per non essere visto. Ma adesso cosa avrebbe fatto? Dove sarebbe andato?

E mentre questi pensieri giocherellavano nel suo cervello vide passare dinanzi al suo naso il 33 che andava verso corso Sempione. Aguzzò la vista. La fermata era a un centinaio di metri, poteva farcela. Avrebbe preso il 33, poi chissà...

Per lo meno gli avrebbe dato la sensazione di essere al sicuro, di raggiungere qualcosa, fosse anche il capolinea del tram.

Ricominciò a correre sbracciandosi disperatamente in direzione del conducente, aumentò la corsa come per diminuire la distanza tra lui e il mezzo, ma tutto fu vano.

Rimaneva ancora qualche metro per raggiungere la fermata.

“Apri quelle porte, dai!” urlò a più non posso... Ma ormai quella cabina arancione su rotaia aveva di gran lunga superato la fermata.

sabato 23 febbraio 2013

Lo strano caso del signor Destino


Oggi voglio postare un dialogo divertente sul Destino tra Luca, il protagonista e una ragazza che perde come lui l'ultimo tram della notte...



(...) Solo adesso si rendeva conto di come era fatta, del viso che aveva, di come era vestita. Era bruna e aveva la pelle chiara, di un colore quasi roseo. Era piuttosto bassa di statura e vestiva tutta in nero; un paio di pantaloni neri che le calzavano a pennello e le accarezzavano delicatamente i fianchi, una felpa nera che lei faceva fuoriuscire dal piumino e le copriva il posteriore. Luca non poteva notare la sua pettinatura perché il cappuccio della felpa le copriva interamente la testa. L’andatura del corpo e la movenza delle spalle cercavano di coprirle il viso come in segno di timore o di timidezza nei suoi confronti.
E mentre s’ incamminarono verso via Caracciolo lei inizio a parlare di nuovo
“Ti piace Milano?”
“Questa notte la odio a morte, ma ci sono un po’ affezionato ho abitato sui Navigli fino all’anno scorso.”
“In che via abitavi?”
“In via D’Annunzio.”
“Veramente? Io ho abitato in via Vigevano, poi mi sono trasferita due anni fa con mio padre in zona Sempione perché si è diviso da mia madre e io ho scelto di stare con lui ...”
“Cavolo, e non ci siamo mai incrociati?”
“No, io credo di non averti mai visto prima...”
“Eppure stavamo vicinissimi di casa”
“Forse era destino che non dovevamo incontrarci prima...”
“Destino?”
“Sì, destino, perché?”
“A quest’ora di notte non mi metto a parlare di destino, dai…non dirmi che ci credi”
“Sì, certo”
“ E’ arrivata la chiromante…”
“Io non sono una chiromante, sono una ragazza normalissima… ma ricordati che nemmeno gli dèi vincono contro il Destino…non l’han mai fatto…hai  mai trovato nella Mitologia antica qualche pazzo che lo ha fatto?”
“Mhhhh”
“E se lo han fatto son tutti finiti male…”
“Mhhh…dalle mie reminescenze di Epica dalle medie forse Giove una volta”
“Ma sei matto??? Ma se Giove per fecondare la bella Danae  e assecondare il Fato si trasforma addirittura in pioggia d’oro per penetrare all’interno della torre dove era intrappolata e compiere il loro destino!!!”
“Quella volta lì…ma siccome Giove ne ha fatte tante…magari è stata in un’altra occasione…”
Mi guardò con aria perplessa.
“No, eh?”
“No”
“Magari Saturno…quello che ne aveva combinate di ogni, guarda…me lo ricordo come fosse ieri quando lo raccontava la prof…mica aveva mangiato le figlie o qualcosa del genere?”
“Negativo…gli avevano profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe spodestato e così lui per andare incontro alla sorte si mangiò i primi cinque appena nati, ma il sesto gli fu sostituito con una pietra avvolta in fasce… e sai chi era quella pietra realmente?”
“Eh no”
“Era Giove, quel monellaccio…che poi al padre gliela farà pagare con gli interessi scatenando una guerra e diventando poi lui il capo degli dei…”
“Caspita…”
“E quindi…”
“E quindi Saturno scartato…fa una brutta fine”
“E quindi?”
“E quindi mi sa che hai ragione…non me ne vengono in mente altri, oh…”
“Visto? Che non mi credevi…”
Luca la guardò come stesse fissando un marziano appena atterrato a Milano.
“Come fai a sapere tutte queste cose?”
“Liceo Classico Parini…tra versioni di greco e lezioni di Epica ne ho sentite di ogni…”
“Ah….”
“Però in fondo mi piace la mitologia greca e per questo che mi rimangono più impresse...pensa che una volta Poseidone…”
“No. Alt…basta…Ho già dato alle medie e mi è bastata l’Eneide… con questo qua che non arrivava mai a Roma o dove cavolo doveva arrivare… e prima i Ciclopi e poi la maga Circe e poi il dio dei venti…”
“Guarda che ti confondi con Ulisse…”
“Era l’Odissea??? Ecco…appunto..ho rimosso…”
Fece un sorriso e gli diede una spintina sulla spalla.
Una lieve brezza gli adagiò i capelli sul viso e lo fece rabbrividire.
I due si sorrisero.

sabato 2 febbraio 2013

perchè il titolo NOTTESENZAFINE?


Il racconto è per antonomasia una breve narrazione in cui il protagonista o i protagonisti sono i ‘player’ dell’azione e interagiscono con i personaggi secondari, ma non vi è un’evoluzione approfondita o un’ analisi psicologica dei medesimi…non c’è lo spazio per farlo in un racconto…in NOTTESENZAFINE invece sì…il protagonista Luca è ‘vittima’ di un’evoluzione interiore nel giro di una notte e la mia lente di ingrandimento si focalizza sul suo cambiamento psicologico che lo porterà ad un superamento delle sue più paure più nascoste con l’arrivo dell’alba. Per questo si avvicina più a un corto-romanzo che a un racconto.L’idea di evoluzione… di corsa sta anche nel voler scrivere il titolo tutto d’un fiato, il che vuole dare l’idea del ritmo incalzante dell’azione. 


Un’azione senza respiro. Non a casa il protagonista non porta orologi e a quei tempi (dato che il libro è ambientato a fine anni’80) i cellulari non esistevano…Luca misura il suo tempo ‘a respiri’. Calcola le sue azioni e misura le sue reazioni a quantità di respiri fatti. Questo per dare l’idea di una corsa frenetica nel cuore della notte al solo scopo di ‘salvare la pelle’ e voler ritornare semplicemente a casa. NOTTESENZAFINE, ha una giusta tensione ed un ritmo quasi vertiginoso che trascina fuori dal tempo il lettore. Il protagonista scopre davvero di tutto in una notte. Tutto di se stesso e delle sue ataviche paure. La notte lo porterà a superare le sue ansie e i suoi timori più reconditi. Un viaggio nel cuore della notte alla riscoperta del proprio IO…


giovedì 17 gennaio 2013

Perchè ambientare NOTTESENZAFINE negli anni '80?



Gli anni ‘80 sono gli anni della mia adolescenza, quindi chiunque abbia tra i 35-45 anni adesso ricorda con affetto quegli anni...La colonna sonora di quegli anni è tutta targata dal boom del pop, sia nostrano con i vari Spagna, Den Harrow, Gazebo, Righeira etc ma anche di meteore straniere come Michael Sembello, Talk Talk, Pic-nic at the Whitehouse, etc....Al cinema furoreggiavano le commedie hollywoodiane come Ritorno al futuro o Il tempo delle mele, ma anche i nostri ‘I fichissimi’ oppure i primi ‘Vacanze di natale’ o ‘Sapore di mare’...Questo non vuol dire che musica e cinema abbiano solo pensato all’estetica e al divertimento in quel periodo: I Pink Floyd facevano il loro concerto più bello proprio nel’89 a Venezia, gli U2 spiccavano il volo, I Depeche Mode spopolavano insieme ai Dire Straits e nascevano artisticamente Jackson e Madonna. E al cinema uscivano capolavori come Apocalypse Now, Afterhours, Blues Brothers, Shining e si iniziavano ad affermare attori Pacino o De Niro. E’ ovvio che tutto questo ha influenzato la narrazione di NOTTESENZAFINE...Fuori Orario di Scorsese in particolare mi ha affascinato moltissimo...un film in una notte incredibile e surreale...come appunta la notte di Luca, il protagonista.
Per non parlare poi proprio del 1989...l’anno del crollo del muro di Berlino, la fine della Guerra Fredda, l’avvicinarsi del crollo del comunismo e della fine di una concezione di un Mondo. Non a caso il libro trae ispirazione dalla visita di Gorbaciov a Milano.



Il libro è ambientato nell’89 e in questi ultimi 25 anni Milano è cambiata parecchio...La città dei paninari, dei metallari , dei new wave e rockabilly non c’è più e non è più la Milano da bere che è passata sotto la mannaia di Tangentopoli nei primi anni ‘90...più che la ricerca dell’apparenza di quegli anni e dell’edonismo rimpiango quella genuinità e altruismo che la città e in generale la società hanno perso nell’ultimo ventennio...
Insomma chi aveva le facoltà, poteva infilarsi un paio di timberland o un monclair per apparire, ma rimaneva sempre in una società che è rimasta incollata alla TV per seguire il dramma di Alfredino Rampi in diretta...la solidarietà che c’era 30 anni fa io non la vedo così tanto in giro ed un fatto come quello di un bambino caduto in un pozzo farebbe più notizia per le negligenze dei genitori a PORTA A PORTA più che per il dolore di un bimbo...

venerdì 4 gennaio 2013

LA PARTE PIU' ADRENALINICA DI NOTTESENZAFINE


Oggi voglio postare un estratto molto adrenalinico di NOTTESENZAFINE in cui Luca incontra nel cuore della notte milanese Margherita, un viados brasiliano che si apre con lui e gli confida di essere sieropositivo. Al culmine della disperazione il travestito gli chiede di ucciderlo e di farla così finita per via della sua condanna a morte.





(...) La pistola era lì, a qualche centimetro da  lui. Avrebbe potuto mettersi un suo guanto bianco, prendere in mano l’arma, puntarla in direzione della sua fronte e sparare senza rimorso.
L’avrebbe depositata  sotto il sedile e sarebbe uscito dalla ‘Cinquecento’ allontanandosi quatto quatto senza la preoccupazione che qualcuno avesse potuto vederlo.
La tentazione era latente in lui, come in tutti gli uomini è innato l’istinto alla guerra, l’istinto di uccidere: è come una vampata di calore che ti sale alla testa, un brivido interno che percuote tutte le ossa, ti acceca la mente, mentre le braccia percepiscono un formicolio sempre più corrosivo nelle vene... e le mani cominciano a sudare, il sudore punge, pizzica sulla pelle e solo il calcio della pistola può placarlo. Mio Dio...! Stava perdendo il controllo della situazione, non poteva essere! Era la ragione che doveva filtrare tutto ciò, la potenza del conscio!
Tuttavia la vampata di calore gli stava salendo alla testa; il brivido interno gli stava percuotendo le ossa; quel formicolio, quel fottuto formicolio stava iniziando a corrodergli le dita, poi i palmi, e avrebbe raggiunto automaticamente il gomito, infine il bicipite e per ultimo la spalla intaccando interamente il braccio...
Tremava. Si alzò dai sedili posteriori come fosse un automa, allungò il braccio destro, prese in mano la pistola guardandola fisso senza distoglierle lo sguardo. Tremava ancora. Margherita non si muoveva. Il tempo era scandito dal respiro ghiacciato di Luca. Strinse con veemenza il calcio della pistola rivolgendo gli occhi in avanti. Non aveva il coraggio di fissare Margherita, non sarebbe riuscito.
Ancora qualche battito cardiaco e il sudore si sarebbe fatto vivo sui palmi delle mani e subito dopo il prurito sulla pelle avrebbe fatto esplodere quella pallottola che era anche dentro il suo corpo.
Sudava freddo. Un ultimo respiro e chiuse gli occhi. La pistola era come un pezzo di ferro rovente tra le sue mani... Oddio!... Ecco la vampata finale alla testa... un lampo di calore... una leggera pressione sul grilletto...
“Noooooo!!!” un grido dilagò nell’aria gelida dell’abitacolo.
Una frenata violenta a qualche metro dalla macchina risvegliò la mente surriscaldata di Luca.
Aprì gli occhi e notò un uomo distinto scendere giù da una Mercedes grigia parcheggiata al loro fianco e dirigersi verso la portiera aperta dell’utilitaria rossa.
Il ragazzo rimase immobile, come paralizzato, continuando a respirare come prima.
Margherita era completamente assente.
“Che cazzo fai! Sei impazzito!?!?” sbraitò l’uomo già dentro l’abitacolo mentre gli afferrava la pistola puntata alla nuca del ‘viados’.
“Lascialo estar!” strillò Margherita.
“Sei impazzita, Margherita? Datemi quella pistola!” ribattè l’uomo.
“Fati li afari tuoi, Michele, me està aiudando!”
Margherita incominciò ad agitare braccia e piedi in direzione dell’uomo, continuando a insultarlo e tentando di colpirlo. Era in preda ad una crisi di nervi.
Luca era inchiodato al sedile posteriore con la pistola in mano ed il braccio disteso sul fianco.
Chi diavolo era quest’uomo? Si domandava mentre i due seguitavano nella loro lotta.
“Lasciamiii!!! - urlò il ‘travestito’ - Vati a escopare quela sorela che te piasce tanto in piasa Piemonte!”
“Stai zitta! Zitta! Che fai i soldi solo con me, tu!”
“Io tegno tanti clienti quanti ne volio! Cosa ne sai tu?!?!”
“Va bene, va bene. Quanto vuoi stanotte? Duecento, trecento, quattrocento, quanti ne vuoi, eh?” e tirò fuori dal portafoglio banconote quasi nuove da centomila lire buttandole in faccia a Margherita.
“E tu che cazzo ci fai ancora qui? Sparisci stronzo!” ordinò il distinto signore al ragazzo.
“Perché non te ne torni all’Hoolywood con quella troietta che ti sei sbattuto sul cofano qualche ora fa, eh?” lo gelò Luca.
Era il ‘pappone’ che lo aveva trascinato fuori dall’Hollywood e lo aveva piantato nella Mercedes grigia senza dirgli niente.
Da lì erano nati tutti i suoi problemi. Era lui il colpevole: se lo avesse subito accompagnato da qualche parte avrebbe evitato il freddo, la fuga sui tetti, la ferita riportata, la festa di Jacopo.
Invece no. Era rimasto lì a strusciarsi con la falsa modella per poi scappare non appena avvistato il carabiniere.
E adesso era a qualche centimetro dalla pistola puntata giusto nella direzione del suo povero cervello.
“Ti ricordi di me?”
“Chi sei? Questo è un tossico, vero Marghe?”
Il silenzio cadde di nuovo tra quegli umidi vetri. I due avevano interrotto la colluttazione.
Luca puntò le sue pupille in direzione di quelle del ‘pappone’: lo aveva riconosciuto.
L’uomo abbassò lo sguardo in segno di imbarazzo.
“Lo sai, lo sai chi sono...”
“Non fare stronzate, dai..., si trattava di un passaggio, di un semplice passaggio; e poi sono io che ti ho tirato fuori dalla discoteca, se no ti malmenavano...”
Luca lo teneva sotto tiro con la pistola ancora carica.
“Abbassa quella pistola, per favore, ragioniamo...”
“Perché mi hai lasciato solo come un cane in macchina?”
Nessuna risposta.
“Rispondi! Rispondi! Brutto stronzo!” lo insultò Luca sputando tutta la bava che aveva in bocca verso quel “distinto gentiluomo”.
Ora era il ‘magnaccio’ che tremava. Luca era viola in volto e tutto l’odio, l’ansia, il dolore di quella notte si stavano materializzando in quella pistola e davanti a quella sagoma in carne e ossa.
“Non rispondi? Te lo dico io perché... Perché in fondo in fondo sei un cagasotto, guarda come stai tremando! sembri un pulcino bagnato, ti faccio paura, eh? Ti faccio paura con un cannone tra le mani???”
Nessuna risposta.
“Non ti agiti più?!?! Fate tutti i prepotenti dietro le vostre collane d’oro e davanti a un pezzo di ferro ve la fate sotto!”
Il tizio tremava di terrore.
“Piangi adesso! Piangiiiiii!!!”
L’uomo si scagliò con impeto verso Luca cercando di afferrargli l’arma, il ragazzo con un gesto rapido avvicinò l’altra mano al calcio come per proteggere la sua presa, ma un colpo forte del ‘magnaccio’ sul suo polso fece allentare la morsa lasciando cadere l’arma al suolo ed un boato enorme esplose nella ‘Cinquecento’ rimbombando in tutto il quartiere .
Margherita iniziò a strillare disperatamente. Nessuno rispondeva alle sue grida isteriche... chi sarebbe corso in aiuto a quell’ora del mattino?
Una chiazza rossa si allargava sul sedile anteriore dell’auto ed un uomo distinto si stendeva prono contro il cruscotto.
Luca non dava segni di vita, immobilizzato contro il sedile posteriore. La testa gli ciondolava in avanti e le ginocchia erano rilasciate.
“Lo hai matado, lo hai matado!” insistè il ‘travestito’.
L’odore dolciastro del sangue si stava espandendo nell’abitacolo e la fumata dello sparo aveva annebbiato tutti i finestrini.
Il ragazzo portò lentamente le mani alle orecchie e digrignò i denti. Quel boato stava ancora percuotendo i suoi timpani.
(...)